Clara e l’ultimo albero

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The Last Tree by keego51 – Deviant Art. https://goo.gl/LrSW5K

– Sono preoccupata per Clara.

– Preoccupata? Perché? – l’uomo si girò sul fianco, per guardare negli occhi sua moglie.

– Passa troppo tempo con tuo padre. Davvero, le sta riempiendo la testa di sciocchezze.

– Cosa vuoi che sia? Le racconta solo qualche storia…

– Qualche storia? Passa il tempo andando in giro là fuori, a volte la tata-bot la perde perfino di vista. Oggi è tornata a casa dicendo di aver visto un albero. UN ALBERO, Mario! Non so nemmeno come sia fatto un albero, io.

– Ma sì, papà le avrà mostrato qualcuna delle foto di quando era giovane. Non c’è niente di cui preoccuparsi.

– Non m’importa, voglio che tuo padre la smetta di infilarle sciocchezze in testa.

– E va bene, domani gliene parlerò.

– Ma non può giocare ai videogiochi come tutti gli anziani della sua età? Un albero, senti tu…

Clara sgambettò oltre la duna. La terra sotto i suoi stivaletti termici aveva la consistenza della roccia. Poco più in là invece, si sfarinava in polvere che il vento soffiava lontano. La collina si stagliava davanti ai suoi occhi bambini come un gigante rosso.

– Ci sgrideranno fortissimo! – disse Marcello, il cugino di Clara. Era un bimbetto biondo e nervoso, con occhi che sapevano guardarti come quelli di un adulto.

– Quando lo avrai visto, ti farai sgridare volentieri – ribatté Clara, cocciuta.

– Ma tra poco sorgerà il sole! Moriremo fritti!

– Non sorgerà prima di un paio d’ore e saremo già tornati.

Senza aspettare l’obiezione del cugino, prese ad affrontare la salita. Nonostante l’alba fosse ancora parecchio lontana, il calore che sprigionava dal terreno la faceva sudare. Se non fosse stato per gli stivali, si sarebbe cotta i piedi.

Suo nonno diceva che una volta la terra era fresca e ci potevi andare anche scalzo, e addirittura c’era l’erba, che era una cosa verde e soffice, che era fresca e faceva il solletico ai piedi. Diceva che la gente usciva di giorno e dormiva di notte e non viceversa e il sole era bello sulla pelle e a volte cadeva dal cielo la neve, che è come l’acqua ma molto più fredda e ovattata.

– Ecco, siamo quasi arrivati.

La collina era fatta come una ciambella, con un bel buco nel centro. Nel buco la terra era scura e morbida.

I due bambini scesero adagio, tenendosi per mano.

– Ci credi adesso? – disse Clara.

Davanti a loro, dritto come un maestro, c’era un tronco scuro e largo, così largo che i bambini ci misero dieci secondi per corrervi tutt’intorno.

Proprio Marcello, preso dall’entusiasmo, iniziò a scalarlo.

– Clara! Vieni, vieni a vedere! – strillò da lassù.

La bambina, che si dondolava appena un ramo più sotto, fu da lui in un attimo, come se non avesse mai fatto altro in vita sua che arrampicarsi sugli alberi.

– Che c’è? – disse, ma poi rimase come folgorata.

I due bambini, le facce vicine e gli occhi scintillanti, osservavano un minuscolo ovale verde smeraldo che faceva capolino da un punto del ramo.

– Cos’è?- disse Marcello.

– È una foglia! Una foglia, una foglia, una foglia!

– Guarda! – Gridò di nuovo Marcello, puntando col ditino un poco più in alto – ce ne sono altre!

L’albero era pieno di piccole gemme.

– Se lo dico al babbo non ci crede! – squittì Marcello.

– E infatti tu non glielo dici.

– Cosa? E perché?

– Perché se no vengono i signori a tagliarlo per fare gli sgabelli.

– Gli sga… che cavolo dici?

– Lo sai almeno cos’è un cavolo?

– Io…

– Il nonno dice che se oggi non possiamo uscire di giorno e camminare scalzi e vedere la neve e arrampicarci sugli alberi è anche perché dei signori li hanno tagliati per fare gli sgabelli.

– A me il babbo mi ha detto che è per l’effetto Serbia. Credo.

– Che roba è?

Marcello fece spallucce. – Non voglio che lo tagliano, però – disse.

– E allora… – disse Clara, e gli porse il mignolo.

Alla luce fatua delle loro tute fluorescenti, Marcello lo prese.

Centenari e bici rubate

“Mio nonno campò cent’anni perché si faceva i cazzi suoi”.

Stando al detto, un sacco di gente in questo paese ha un’innata predisposizione alla longevità.

Da questo distillato di saggezza popolare, che lascia intendere che chi si immischia nei fatti altrui corre il rischio concreto di finire nei guai, emerge infatti uno spaccato interessante riguardo alcune dinamiche della nostra biosfera sociale.

Porta Palazzo, oggi: lego la mia bici a un palo, nonostante ci fosse un parcheggio apposta proprio lì a fianco, per poterla tenere sotto controllo dalla vetrina mentre faccio alcune compere in un negozio.

Un tizio, anche lui in bici, si accosta alle rastrelliere poco distanti e fissa una bicicletta.
Avrei scommesso cento euro che stava per portarsi via un souvenir. E infatti, cinque secondi dopo, lo vedo armeggiare con un sellino. Dieci persone lì intorno e nessuno che dice niente.

La seguente riflessione si è svolta nella mia testa, sull’uscio del negozio, nel giro di cinque secondi.

Minchia, lo sapevo. E mo?
E mo non sono fatti tuoi, entra.
Non sono fatti miei ma potrebbero: ricordi che giramento di coglioni quando hanno rubato il tuo?
Daje, è solo un sellino! Devi rischiare una sberla per un sellino?
Non è il sellino, è una questione di principio.
Sei il solito ingenuo!
Sei il solito cinico!
Fottiti, se le prendi poi non venire a piangere.

Mi volto verso il tizio, che è appena riuscito a sfilare la sella.
“E beh?” gli dico.
“Perché, è mica tua?” risponde lui, facendo leva sul proverbio di cui sopra.
“Sì” mento spudoratamente, considerato che mi aveva visto legare la mia al palo.
Non se l’aspettava. Ci pensa.
“Eh, mi serviva una sella. Ma se è tua la rimetto a posto.”
Lui se ne va e io entro nel negozio, dove spiego la cosa al proprietario che si offre di dare un’occhiata dalla vetrina nel caso tornasse.

Ho rischiato di prenderle forse. Ma vedere quel sellino ancora al suo posto quando me ne sono andato mi ha fatto sentire una persona. Non una brava persona, non una persona migliore, ma una persona e basta.

E pazienza se non camperò fino a cento anni, tanto il nonno di chi ha inventato quel detto era uno stronzo.

P.S. Non voglio fare il disfattista, di esempi virtuosi ce ne sono tanti. Proprio a proposito di biciclette ad esempio, su Facebook, in un gruppo di vendita di bici usate che bazzico, più volte ho assistito in tempo reale al recupero di una bici rubata: il proprietario aveva segnalato il furto sul gruppo, qualcuno l’ha vista per strada ed è andato a tenerla ferma fino al suo arrivo. Rischiando di prenderle, of course.

Uno spot per i 60 anni di FIAT 500

Tempo di lettura stimato: 1 minuto.

Con “See you in the future”, spot firmato Leo Burnett che è un vero e proprio corto, FCA festeggia i 60 anni della sua figlia prediletta: la 500.

L’entusiasmo attorno a questo prodotto cinematografico è piuttosto alto – e giustamente, se si considera la presenza come protagonista del premio Oscar Adrien Brody.

Il corto-spot per i 60 anni della FIAT 500 è gradevole: sfoggia un abito retrò di taglio italiano, ma senza scadere nel binomio pizza-mandolino

La trama è semplicissima, il che è un bene considerato che si tratta di uno spot per un’automobile e non di un film di Almodovar: un uomo si addormenta negli anni ’50 e al risveglio, uscito di casa, si ritrova nella Milano del 2017; incontra una donna di cui si invaghisce, la quale lo scarrozza in giro per la città sulla nuova 500. Il tutto sulle note di Come Prima.

Proprio l’incipit di questa storia è ciò che ha fatto sì che la mia mano, per riflesso involontario, andasse a prendere la caratteristica forma a “carciofo”: quello del sogno è un espediente narrativo così logoro che quando è uscita la 500 era già vecchio.

Il tentativo di spiazzare lo spettatore con un finale “aperto” non è abbastanza potente da lavare il sapore del cliché.

Altri topoi letterari invece, come il contatto involontario delle mani dei due o la battuta sul film d’epoca che per Brody è appena uscito, sono apprezzabili perché propri di una narrativa d’altri tempi. In altre parole, non forzano lo spettatore ma gli ammiccano.

Di positivo conservo la performance di Adrien Brody, le piccole gag seminate nella storia, la cura certosina dei dettagli, la splendida fotografia e più in generale l’atmosfera sognante da Carosello che caratterizza il girato.

Insomma, un bel 60esimo compleanno per la FIAT 500.

Chapeau.

Adam Brody - Spot 60 anni FIAT 500

 

 

 

 

Paolo Villaggio e l’ultimo Fantozzi

Fantozzi in Paradiso

Ho smesso di ridere di Fantozzi quando ho cominciato a capirlo.

Quelle che per un bambino erano le sfighe assurde di un personaggio donchisciottesco, al punto che nei miei giochi d’infanzia fingevo di essere lui per far ridere gli amici, sono per uno spettatore più maturo la tragedia quotidiana di un’intera generazione – e probabilmente anche di quelle successive.

In Fantozzi ritrovo la lotta disperata per un posto nel mondo, l’autoaffermazione ostinata dell’essere umano laddove l’intero meccanismo-società lo vorrebbe annichilito, scopro l’insensatezza e la leggerezza.

Paolo Villaggio ha creato un adorabile mostro, se è vero che si può riderne e piangerne insieme. E ora che anche lui ha fatto i bagagli, guardando la sua creatura nei caroselli di rito che i telegiornali e le reti televisive dedicano in massa ai mostri sacri di questo o quello, mi giunge fortissima un’impressione:

non ci sarà un altro Ugo Fantozzi.

Non siamo più capaci di generare personaggi così forti da entrare a gamba tesa nell’immaginario collettivo fino a diventare attributo – “fantozziano” – per persone o situazioni.

Del resto, questo nuovo pubblico così vorace di novità, pronto a ingollare youtuber e cantautori usa-e-getta uno dietro l’altro, forse non saprebbe nemmeno che farsene.

I grandi lumi del passato, com’è naturale, vanno a poco a poco spegnendosi. Ma noi con cosa cerchiamo di rimpiazzarli? Non c’è talent show che possa sputare fuori un altro Paolo Villaggio e, a dirla tutta, nemmeno un Fantozzi.

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