Paolo Villaggio e l’ultimo Fantozzi
Ho smesso di ridere di Fantozzi quando ho cominciato a capirlo.
Quelle che per un bambino erano le sfighe assurde di un personaggio donchisciottesco, al punto che nei miei giochi d’infanzia fingevo di essere lui per far ridere gli amici, sono per uno spettatore più maturo la tragedia quotidiana di un’intera generazione – e probabilmente anche di quelle successive.
In Fantozzi ritrovo la lotta disperata per un posto nel mondo, l’autoaffermazione ostinata dell’essere umano laddove l’intero meccanismo-società lo vorrebbe annichilito, scopro l’insensatezza e la leggerezza.
Paolo Villaggio ha creato un adorabile mostro, se è vero che si può riderne e piangerne insieme. E ora che anche lui ha fatto i bagagli, guardando la sua creatura nei caroselli di rito che i telegiornali e le reti televisive dedicano in massa ai mostri sacri di questo o quello, mi giunge fortissima un’impressione:
non ci sarà un altro Ugo Fantozzi.
Non siamo più capaci di generare personaggi così forti da entrare a gamba tesa nell’immaginario collettivo fino a diventare attributo – “fantozziano” – per persone o situazioni.
Del resto, questo nuovo pubblico così vorace di novità, pronto a ingollare youtuber e cantautori usa-e-getta uno dietro l’altro, forse non saprebbe nemmeno che farsene.
I grandi lumi del passato, com’è naturale, vanno a poco a poco spegnendosi. Ma noi con cosa cerchiamo di rimpiazzarli? Non c’è talent show che possa sputare fuori un altro Paolo Villaggio e, a dirla tutta, nemmeno un Fantozzi.