Sulla scrittura: Se una notte d’inverno un viaggiatore
Da un po’ di tempo cercavo l’occasione per scrivere un pezzo del genere e finalmente l’occasione è arrivata: oggi, nonostante il logo di Google non si sia minimamente scomposto, è il 90° anniversario della nascita di Italo Calvino, una delle penne più straordinarie della letteratura italiana e non.
Tutte le info biografiche e bibliografiche le lascio a Wikipedia, qui mi occupo invece del perché chi vuole imparare a scrivere dovrebbe dedicarsi a leggere le sue opere, in particolare alcune.
Una delle molteplici qualità di Italo Calvino è a mio avviso l’essere (anche) uno scrittore per scrittori, per chi cioè attraverso la lettura voglia imparare come si scrive; attività questa che in fin dei conti, abbinata alla scrittura stessa, è l’unica che possa ritenersi adatta allo scopo. Nei suoi testi si può riconoscere infatti una grande varietà di stili e generi, che però sono sempre inconfondibilmente il suo.
In “se una notte di inverno un viaggiatore” per esempio, Calvino dà, sotto questo aspetto, il meglio di sé. Si Tratta di un romanzo che combina in sé l’originalità dell’idea e la perfezione nella sua esecuzione: un romanzo, dico, in cui il protagonista è il lettore, di più, è il romanzo stesso. Un testo fatto di soli incipit che al loro culmine si interrompono, rilasciando nella mente del lettore dapprima un sottile senso di disagio e frustrazione, che via via si trasforma in una sorta di “assuefazione da climax”. Dieci incipit così diversi tra loro che, leggendoli indipendentemente l’uno dall’altro, si sarebbe portati ad attribuirli ad altrettanti autori, diversi tra loro per sensibilità, inclinazioni e stile, e che invece sono l’espressione della fantasia molteplice e straordinaria di uno solo. Fantasia che, diceva Calvino, “è un posto dove ci piove dentro”.
E da lui doveva piovere parecchio.
Ma la straordinarietà di questo testo non si esaurisce nella sua originalità, nella bellezza dello stile, nella molteplicità; è sorprendente anche la tecnica, utilizzata per una buona metà del libro: una narrazione in seconda persona che poi si trasforma in prima e continua a saltare da un punto di vista all’altro con la facilità con cui si possono spostare gli occhi da un punto A a un punto B o C di un orizzonte in un pomeriggio limpido. Il tutto senza creare in chi legge la minima confusione.
Si tratta in altre parole di una vera e propria “scuola”, un libro che ne racchiude molti, in cui è nascosto il segreto per creare aspettativa e tensione, per modellare gli stili, per gestire i punti di vista e tutto quello di cui si deve tener conto quando ci si vuol cimentare con quella belva magnifica che è lo scrivere (e il leggere).
A novant’ anni anni dalla nascita e a più di ventotto dalla scomparsa di questo autore, io lo trovo più vivo che mai. Molto più di altri che ancora respirano ma sono artisticamente morti.
Pingback: Incipit: che roba è? – Il Drago di Carta