8 marzo
A quasi sessant’anni dal loro primo incontro, il signor Anselmo non aveva ancora rinunciato a sorprendere la sua dolce Pia.
Non aveva mai smesso di corteggiarla ogni giorno, fin da quel primo in cui si erano ritrovati per caso, zuppi di pioggia, sotto l’arcata di un portone del centro: le cantava canzoni, portava fiori, le lasciava biglietti quando all’alba, in punta di piedi, usciva per andare a lavorare.
Non aveva smesso di corteggiarla dopo che s’erano detti di sì, con gli occhi pieni di gioia, nella cattedrale d’una città che ancora mostrava i lividi delle bombe; non aveva smesso dopo che era nato il primo figlio, né dopo il secondo, né quando l’uno e l’altro s’erano fatti uomini e padri a loro volta.
Ancora adesso, a ottant’anni suonati, gli piaceva sorprenderla con un fiore, un bacio e una poesia appuntata su un foglio con una calligrafia ogni giorno più incerta.
Di buon mattino si era recato dal barbiere per farsi accorciare la barba, già bianca da anni; aveva comprato una rosa; aveva scritto due righe semplici e, in fine, a una bancarella aveva comprato un libro scegliendolo senza guardare, come facevano quand’erano ragazzi.
Poi aveva inforcato la bici e s’era avviato al luogo dell’appuntamento, da qualche tempo sempre lo stesso. Lei lo attendeva sorridente, come lui avrebbe sempre voluto ricordarla: i capelli castani e ricci che ricadevano sulle spalle e il vestito primaverile, celeste coi fiori.
Si inchinò, le offrì la rosa e, dopo essersi schiarito la gola, recitò la poesia.
Poi sette vicino a lei, estrasse dalla tasca del cappotto il libro e prese a leggere ad alta voce, come aveva iniziato a fare quando la malattia s’era fatta più invadente.
Al tramonto si alzò. Lei era sempre lì, bella e sorridente, come l’avrebbe sempre ricordata.
Prima di andarsene baciò la foto, sotto la quale c’era la data del loro ultimo incontro:
8 marzo 1990