Prendere il treno

– Forse sei troppo giovane per capire di cosa sto parlando.
La voce incrostata di fumo del vecchio fu sovrastata dal fischio del convoglio che lentamente prendeva a muoversi qualche metro più in basso. Io, col bavero stretto tra le mani perché il vento non mi portasse via anche la salute, seguivo con gli occhi la pista dei binari che andava a finire all’orizzonte e forse anche qualche metro dopo.
– Dico quando prendere il treno aveva tutto un altro significato, quando davvero lo afferravi in corsa e se ti rimaneva un briciolo di forza ci issavi anche il tuo amico. Quando ti nascondevi tra le casse dei vagoni merci e saltavi giù prima di giungere in stazione, pregando iddio che sotto quella striscia erbosa non si nascondessero sassi o merda. Era tutto più romantico.
Tirò un ultima boccata al mozzicone di sigaretta che reggeva tra le dita ingiallite e lo lanciò giù dal cavalcavia, guardandolo vorticare e sputare lapilli, fino a spegnersi al suolo.
– E se era bel tempo, se il viaggio era lungo abbastanza, potevi anche arrampicarti sul tetto e viaggiare all’aria aperta, roba che neanche i ricconi di prima classe sanno cosa vuol dire. Ora i treni sono tubi di latta sigillati, ci hanno preso per sardine. Non c’è più spazio per quelli come me, non ci sono più notti clandestine.
Seduto sul parapetto, le gambe penzoloni, cercò con gli occhi la mia approvazione e con la mano la bottiglia che nascondeva sotto il cappotto. Bevve come chi ha davvero sete, gustando il primo e l’ultimo sorso e anche i ventitré che contai tra questo e quello. Il pomo spigoloso andava su e giù senza sosta finché, con un rutto e un sospiro, non mi comunicò di aver finito.
– Queste belve qui per esempio – disse, indicando con un cenno del capo un treno affusolato come una freccia che riposava al termine di un binario morto – fanno i trecento all’ora: se solo provassi a viaggiare sul tetto la pelle mi si sfilerebbe di dosso come un guanto, capisci cosa intendo. Ora che non mi restano neanche i treni, riconosco che non è più tempo per quelli come me.
– I girovaghi – domando
– I romantici.
Un altro fischio lontano, che sembrava venire da fuori dal tempo, di nuovo inghiottì un pezzo di frase, ma il vecchio parve non curarsene. Continuava a parlare e le labbra screpolate si muovevano come in un film muto.
– Senti? – domandò poi, quando quell’ululato malinconico si assopì fino a sparire – questo è il mio treno. È ancora uno di quelli vecchi, come me, ancora sa cosa vuol dire viaggiare. Domani lo rottamano.
Insieme guardammo l’unico, grosso faro, spalancato come un occhio sui binari, farsi sempre più vicino.
Bevve ancora un sorso, per accertarsi che la bottiglia fosse vuota, poi la gettò dal parapetto.
– Piacere di averti conosciuto.
Saltò leggero, come un mozzicone di sigaretta, e si spense giù in basso.

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: