Ho visto Saviano
Ho scritto queste due righe, un po’ in ritardo rispetto all’evento di cui parlo a dire il vero, dopo aver letto per caso un post in cui Roberto Saviano elenca tutte le cose che sono state dette contro di lui. Alcune cattiverie gratuite, altre sintomo d’ignoranza, altre di “autodifesa”: a nessuno piace sentirsi dire che è anche colpa sua, se le cose sono come sono. Che è per l’ignavia e il disinteresse di tutti, che proliferano realtà come la mafia. È molto più semplice screditare chi, invece, cerca di spronarti a fare qualcosa.
Per dirla con grazia Littizettiana è molto più facile guardare la pagliuzza nell’occhio del vicino, piuttosto che la trave che hai nel culo.
A maggio dello scorso anno feci una visita veloce alla Fiera internazionale del Libro di Torino.
Mi trovavo a metà del cammino tra il padiglione principale ed uno dei secondari, in un bagno di folla, quando un brusio crescente alle mie spalle, facendo leva sulla mia immensa curiosità, mi fece voltare.
La prima cosa che vidi fu un carabiniere, anzi due. Uniforme perfetta, cappello in testa, la fiamma dell’Arma che svettava sopra di esso, oltre le teste degli altri visitatori.
Poi altri due, subito dietro, a serrare il passo: gli uni e gli altri intenti a scostare, garbatamente ma con decisione, le persone al passaggio.
Nel mezzo, come in una bolla, un signore magro e non troppo alto, il cranio rasato e l’aria un po’ stropicciata di chi ha viaggiato abbastanza.
Passando sorrideva, quasi chiedendo scusa per quell’improvviso disturbo, ché fosse stato per lui avrebbe volentieri barattato la scorta per un caffè e una brioche in compagnia.
Da qualche parte, qualcuno ha cominciato a battere le mani.
Poi un altro, poi un altro, poi anche io. Tutti, come a dire “ehi, non c’è problema, nessun fastidio. Vai pure, il caffè lo prendiamo quando sei più tranquillo”.
Così, finché non è scomparso all’interno dell’altro padiglione.
Ora, questo semplice evento ha scatenato nel mio cervello una serie di riflessioni. Ha scosso sinapsi e scoperchiato tombe dove – mea culpa – avevo seppellito argomenti troppo scomodi per la mia coscienza.
Ho sempre pensato che per raddrizzare ciò che è storto in questa società, per lasciare il mondo “un po’ meglio di come lo abbiamo trovato”, ciascuno deve fare ciò che gli riesce meglio, seguire la sua vocazione.
Ciascuno, facendo il proprio mestiere onestamente, con cultura della legalità, è nel proprio piccolo costruttore di un mondo migliore. Per questo motivo vedere che la vita di un uomo è stata violentata e privata della sua intimità solo perché ha fatto il suo lavoro, solo perché ha espresso se stesso facendo ciò che crede giusto e che gli riesce meglio, mi riempie di tristezza.
“Seguo” da qualche tempo Roberto Saviano, sui giornali, su Facebook o in televisione.
Non perché veda in lui alcun tipo di profeta o di paladino della giustizia, anzi. Mi interesso a ciò che dice perché in lui vedo un uomo normalissimo, come me, come mio padre, come il lattaio. Una persona qualsiasi che però ha deciso di non scendere a compromessi quando si tratta dei propri valori.
Lo ascolto, non perché penso che dica cose eclatanti o inaudite: lui stesso ripete, ad ogni occasione, che non è scopritore di nulla, che tutto ciò che porta all’attenzione del pubblico è già sotto gli occhi di tutti. Basta cercare.
È questo il suo merito: alimentare la riflessione su cose che alcuni tendono, per comodità o pigrizia, a dimenticare o peggio, a far finta di non vedere.
Come quando da bambini ci si rifugiava sotto le coperte perché, chissà, se il mostro non mi vede – ma soprattutto se non lo vedo io – non può farmi del male.
Ma il fatto che, grandi e grossi, continuiamo a nasconderci sotto lenzuola di indifferenza, gioca tutto a favore del mostro.