Il filo di Aracne

Stavolta, per rimanere in tema, forse ho tirato un po’ troppo la corda.
Ma dovrò pur sperimentare, e voi, incauti lettori, siete le cavie.
Buona lettura

F.

Quando lo mondo anchora credevasi piatto, et la humana spezie principiava appena ad avvicinarsi all’opere della navigatione e della astronomia, lo eccellente nostro popolo già discettava di arte et philosophia et sommamente di fisica, che è lo studio dei corpi in movimento.
Era allora nello mare cosiddetto esterno, et precisamente quello che prende nome dallo Titano figlio di Giapeto, Atlante, una isola unica nello suo genere.
Costituita di materia proveniente dallo cosmo siderale più estremo, di cui anche gli astri si compongono in massima parte,  galleggiava essa sulle acque perigliose, e si sarebbe levata più in alto anche delle nubi se lo filo d’Aracne non l’avesse ancorata al fondo.
Sottile come crine, duro come pietra adamantina, esso filo impediva all’isola di prendere la deriva nell’aere terso.
Una civitate feconda et evoluta ivi sorgeva, patria di sapienza.
Fulgida et maestosa, Atlantide, le cui guglie et pinnacoli s’innalzavano a solleticare la volta celeste, prosperava davanti alle colonne che la potenza d’Eracle pose a confine del mondo.
Esperti navigatori, i figli di Atlantide portarono il sapere ovunque nello mare interno, concedendo grandezza ai popoli tutti che vollero aprirgli le loro menti.
Creta, Micene, Atene, Carthago et finanche Babilonia, tutte sorsero dalla scintilla del genio d’Atlantide.
Ma l’invidia et la cupidigia degli uomini, che sempre tutto devasta e porta a rovinosa disfatta ciò che di buono riescono a creare, li condusse ad usare ciò che avevano appreso contro chi glie lo aveva insegnato. Nella smania di più avere, mossero le flotte contro coloro che primi li spinsero ad affrontare il pelago.
Lo popolo eletto, nella infinita sua bonitate, tentò di destare Eirene nel cor loro dormiente.
Ma quando i messi e gli araldi, deturpati barbaramente, furono lasciati all’abbraccio dei flutti, la rabbia esplose come tuono in mare aperto: le navi bianche Atlantine, potenti et leggere, spazzarono i legni ostili come biglie, dispersero le flotte come greggi.
Ma uno dello popolo blasfemo degli Ioni, Teseo, come serpe d’acqua insidiò lo nostro calcagno.
Raggiunto lo fil che ancorava Gaia ad Atlantide, nol tagliò, ché era impensabile, bensì il sciolse.
Se foste stati presenti allora, sulle navi che rientravano in porto, avreste assistito al dramma primigenio: l’isola lieve, con città sua splendente, alzossi dal pelago d’Atlante e raggiunse lo cielo.
Così seppur vincitori, gli Atlantini subirono l’esilio.
Gli uni condannati a vagare per la volta celeste, in balia dei venti.
Gli altri, rimasti in mare, a mai più vedere la patria loro natia.
Lo buco che l’isola lasciò sollevandosi era tale che ci mise giorni a richiudersi, sicché gli stolti pensarono che Atlantide fosse sprofondata.
Solo noi, figli di coloro che rimasero sulle bianche navi, sappiamo l’vero.
Passiamo per stolti, perché sempre miriam lo cielo, et sognatori.
Nessuno sa che, in cor nostro fremente, attendiamo d’Atlantide il passaggio, nella speme d’attaccarci allo fil che da essa ancor pende.

2 Comments on “Il filo di Aracne”

  1. Ma bravo Ferdinando!….hai indubbiamente un dono.Adesso proseguo nelle letture……sai,è stato anche solo e sempre un piacere leggere le tue 'mail scout' così vivaci e spiritose.Oltre alla facoltà di saper scrivere bene mi sono spesso chiesta se tu fossi consapevole di avere un mente straordinariamente fertile….Ebbene, lo sai… continua così.Ti leggeranno anche Vitto e Fede chissà se si compirà il miracolo di invogliarli alla lettura

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