Il Rituale
Mezzanotte e mezza: quale orario migliore di questo, per un racconto a tinte macabre?
Fa parte di un ipotetico progetto più grande. E poi? E poi, leggete.
– Svelta, di qua – sussurrò Maria, la faccia pallida che faceva capolino da dietro la porta socchiusa.
Cristina si guardò intorno, l’atrio era deserto. Prese fiato e si infilò nello spiraglio.
Seguì l’amica attraverso il ungo corridoio, le cui ampie vetrate regalavano scorci di un cielo di piombo. Maria camminava velocemente, facendo ondeggiare i lunghi capelli corvini, al punto che per starle dietro bisognava quasi correre. C’era odore di formaldeide, Cristina lo odiava.
A dire il vero odiava tutto, dell’ala settoria della facoltà di medicina.
Detestava il fatto che nonostante le grandi finestre sembrasse sempre cupa, ma soprattutto la sensazione di soffocante ineluttabilità che la avvolgeva non appena vi metteva piede.
Immersa in questi pensieri, raggiunse l’amica nella Sala Vecchia. Alti scranni di legno bruno si ergevano, in tre file sopraelevate, lungo tutto il perimetro dell’aula. Da quelli, ora come duecento anni prima, gli studenti potevano osservare la sezione dei corpi.
– Sono appena arrivati – annunciò Maria, la voce rotta dall’eccitazione.
Stesi su altrettanti tavoli al centro dell’aula, uno di fianco all’altro, i cadaveri di cinque uomini.
Nudi, inerti, imperturbabili.
– Che fai, non vieni – chiese Maria, vedendo Cristina che esitava sulla soglia.
– Sei sicura?
L’amica le lanciò un’occhiata beffarda, agitando la mano nell’aria, poi si accovacciò a frugare nella borsa che aveva lasciato vicino al primo tavolo.
– E se ci scoprono – squittì Cristina, aggrappata allo stipite.
– Qui non viene nessuno se non per le lezioni, e la prima è tra due ore. Saremo già a casa allora.
Estrasse dalla borsa alcuni piccoli sacchetti di plastica, una fiala da prelievi piena ed un foglio di carta spiegazzato.
A vederla così concentrata, con i capelli sciolti a incorniciare quel viso bianco e affilato, mentre trafficava con fiale e alambicchi sopra un cadavere, sembrava davvero un’incantatrice.
A dire il vero era un gioco, quello che avevano cominciato qualche mese prima, quando, navigando su internet, si erano imbattute in alcuni scritti sui riti esoterici. Quello che doveva essere il passatempo di una sera di pioggia, aveva invece ridestato l’entusiasmo assopito da lunghi mesi di studio.
– Dai Cricrì, sarà divertente.
– Hai tutto?
– Non sono riuscita ad ammazzare un corvo, così ho preso del sangue di pollo dal macellaio. Andrà bene.
Cristina fece spallucce.
– E non ho trovato l’unguento di belladonna. Ho preso una crema all’aloe, c’era solo quella in farmacia.
– Se prima avevo qualche dubbio – sospirò Cristina, quasi con sollievo – ora ne sono certa: non funzionerà!
La sua risata forte e squillante si mescolò a quella bassa e vellutata di Maria, rimbombando sull’intonaco delle pareti, scrostato dal tempo.
– Sceglilo tu – disse poi Maria, d’un tratto seria, puntando i suoi occhi verdi in quelli castani dell’amica.
Lo faceva sempre, quando voleva metterla a disagio, e ci riusciva puntualmente.
Pur di liberarsi da quello sguardo, Cristina si concentrò sui corpi.
Li passò in rassegna, avanti e indietro, più volte.
– Questo qui – disse alla fine, fermandosi al quarto tavolo.
Sopra c’era il corpo di un uomo di forse quarant’anni, alto circa un metro e ottanta, robusto.
Aveva la testa grande, sulla mascella imponente cresceva appena un filo di barba ispida. Il cranio era rasato, nell’orecchio sinistro c’era ancora il residuo rappreso di un rivolo di sangue.
– Contenta tu. Aiutami a sistemare le candele.
Uno dopo l’altro, disposero quattro lumini vicino alle gambe e alle braccia.
– E questo cos’è – ridacchiò Cristina, estraendo dalla borsa l’ultima candela, simile al busto di Elvis.
– A casa avevo solo quelle – sbuffò Maria, senza alzare gli occhi dal foglio su cui aveva stampato il rituale – cominciamo.
Poi prese a recitare una cantilena in latino, stonata e stridente, durante la quale unse le tempie della salma con la crema e ne cosparse il capo con quello che Cristina ritenne essere origano.
Il ritmo della litania era diventato incalzante, le parole si mescolavano e perdevano il loro significato.
Continuando a cantare, Maria infilò una cannuccia da cocktail nella narice sinistra dell’uomo, tappando la destra con la mano libera, e fece cenno a Cristina di versarvi dentro il sangue di pollo.
Quello vi scivolò dentro gorgogliando, sotto gli occhi inquieti di Cristina e quelli invasati di Maria, che presa dal suo stesso canto faceva ora vorticare la testa e i lunghi capelli, sempre più velocemente.
– Fermati, basta, non succede nulla.
Maria sembrava non sentirla, rideva, cantava e ruotava il capo.
– Basta, basta smettila! Maria! – gridò.
Nella Sala Vecchia tornò il silenzio.
– Scusa Cricrì, non so cosa mi è preso – disse, mentre una goccia di sudore le colava dalla fronte fino alla punta del naso.
Si guardarono per un lungo istante, finché la tensione accumulata non si dissolse nel fragore delle loro risate.
Ridevano ancora, quando le palpebre dell’uomo si sollevarono di scatto, scoprendo gli occhi lattiginosi.
Sotto lo sguardo atterrito delle ragazze, inarcò la schiena gonfiando il torace, la bocca spalancata in cerca di aria. I polmoni si riempirono con un rantolo, violenti spasmi scossero le membra ancora irrigidite, poi tutto tornò alla quiete.
Cristina, che si era coperta gli occhi con le mani, trovò la forza di guardare attraverso le dita sottili: a testimonianza di quello che era successo restavano solo il ritmico movimento del petto e quel gorgoglio sinistro.
Maria invece lo osservava rapita, gli occhi verdi sbarrati e le labbra increspate in una specie di sorriso.
– Ce l’abbiamo fatta – sussurrò incredula e poi, a voce alta – ce l’abbiamo fatta!
– Cosa facciamo ora?
La voce di Cristina sembrò richiamarla dalla sua contemplazione.
– Abbiamo tre domande – rispose. Negli occhi aveva un bagliore inquietante.
Sapeva già cosa avrebbe chiesto Maria.
– Anima – disse, con tono autoritario – rispondi, se sei capace: in che giorno passerò da questo mondo all’altro?
Con un suono orrendo, la salma prese fiato ancora una volta e poi, con una voce che ricordava il frusciare delle foglie secche, proferì il suo verdetto.
– Il secondo giorno del terzo mese dell’anno presente.
Le due si scambiarono un’occhiata perplessa.
– Ripeti – ordinò Maria.
– Il secondo giorno del terzo mese dell’anno presente.
Maria sembrò delusa.
– Non può essere – disse a Cristina – è oggi.
– Forse il rito ha funzionato male, magari si sbaglia. Prova ancora.
La giovane serrò i pugni, raddrizzò le spalle e si preparò a formulare la seconda domanda.
– Anima, rispondi. Quando morirà Cristina?
Cristina si portò una mano alla bocca, per sopprimere un grido, tendendo l’altra per cercare di fermare l’amica. Ma il morto aveva già ripreso a parlare.
– Il terzo giorno del terzo mese dell’anno presente.
Maria dovette sforzarsi per reprimere una risata.
– Questo conferma la mia ipotesi, è una fregatura – sbottò – dovrei morire io oggi e tu domani?
– Abbiamo ancora una domanda – ridacchiò Cristina, sollevata – tanto vale provare.
Maria sorrise con complicità, poi assunse un’aria ridicola, da grande sacerdotessa di un film horror anni settanta.
– Anima – ordinò, ostentando falsa solennità – rispondi: quando avverrà il giorno del Giudizio?
La salma non rispose, ma continuò a incarnare quella sua pallida imitazione di esistenza.
– Rispondi, ho detto!
Altri quattro gorgoglii, quattro rantoli strazianti, si unirono al primo. Cinque cadaveri, con una voce sola, presero a intonare una macabra litania.
– Il terzo giorno del terzo mese dell’anno presente, all’ora nona, si farà buio su tutta la terra. Il cielo si squarcerà, le tombe si scoperchieranno col rumore del tuono. La bocca dell’inferno si spalancherà sul mondo, all’ombra dei tre soli camminerà il popolo dei più. Tremerà Gerusalemme, Roma cadrà sotto passi implacabili, giacerà nella polvere Costantinopoli.
Poco a poco il tono del loro lamento s’alzava, ripetendo l’oracolo, finché non arrivarono a gridare.
Cristina si gettò a terra, terrorizzata, Maria fuggì perdendo una scarpa.
– Che diavolo sta succedendo qui?
Il custode si affacciò nella sala, dove una studentessa giaceva a terra terrorizzata.
Sui tavoli, i cadaveri di cinque uomini per la prossima lezione.
Cristina si guardò intorno, l’atrio era deserto. Prese fiato e si infilò nello spiraglio.
Seguì l’amica attraverso il ungo corridoio, le cui ampie vetrate regalavano scorci di un cielo di piombo. Maria camminava velocemente, facendo ondeggiare i lunghi capelli corvini, al punto che per starle dietro bisognava quasi correre. C’era odore di formaldeide, Cristina lo odiava.
A dire il vero odiava tutto, dell’ala settoria della facoltà di medicina.
Detestava il fatto che nonostante le grandi finestre sembrasse sempre cupa, ma soprattutto la sensazione di soffocante ineluttabilità che la avvolgeva non appena vi metteva piede.
Immersa in questi pensieri, raggiunse l’amica nella Sala Vecchia. Alti scranni di legno bruno si ergevano, in tre file sopraelevate, lungo tutto il perimetro dell’aula. Da quelli, ora come duecento anni prima, gli studenti potevano osservare la sezione dei corpi.
– Sono appena arrivati – annunciò Maria, la voce rotta dall’eccitazione.
Stesi su altrettanti tavoli al centro dell’aula, uno di fianco all’altro, i cadaveri di cinque uomini.
Nudi, inerti, imperturbabili.
– Che fai, non vieni – chiese Maria, vedendo Cristina che esitava sulla soglia.
– Sei sicura?
L’amica le lanciò un’occhiata beffarda, agitando la mano nell’aria, poi si accovacciò a frugare nella borsa che aveva lasciato vicino al primo tavolo.
– E se ci scoprono – squittì Cristina, aggrappata allo stipite.
– Qui non viene nessuno se non per le lezioni, e la prima è tra due ore. Saremo già a casa allora.
Estrasse dalla borsa alcuni piccoli sacchetti di plastica, una fiala da prelievi piena ed un foglio di carta spiegazzato.
A vederla così concentrata, con i capelli sciolti a incorniciare quel viso bianco e affilato, mentre trafficava con fiale e alambicchi sopra un cadavere, sembrava davvero un’incantatrice.
A dire il vero era un gioco, quello che avevano cominciato qualche mese prima, quando, navigando su internet, si erano imbattute in alcuni scritti sui riti esoterici. Quello che doveva essere il passatempo di una sera di pioggia, aveva invece ridestato l’entusiasmo assopito da lunghi mesi di studio.
– Dai Cricrì, sarà divertente.
– Hai tutto?
– Non sono riuscita ad ammazzare un corvo, così ho preso del sangue di pollo dal macellaio. Andrà bene.
Cristina fece spallucce.
– E non ho trovato l’unguento di belladonna. Ho preso una crema all’aloe, c’era solo quella in farmacia.
– Se prima avevo qualche dubbio – sospirò Cristina, quasi con sollievo – ora ne sono certa: non funzionerà!
La sua risata forte e squillante si mescolò a quella bassa e vellutata di Maria, rimbombando sull’intonaco delle pareti, scrostato dal tempo.
– Sceglilo tu – disse poi Maria, d’un tratto seria, puntando i suoi occhi verdi in quelli castani dell’amica.
Lo faceva sempre, quando voleva metterla a disagio, e ci riusciva puntualmente.
Pur di liberarsi da quello sguardo, Cristina si concentrò sui corpi.
Li passò in rassegna, avanti e indietro, più volte.
– Questo qui – disse alla fine, fermandosi al quarto tavolo.
Sopra c’era il corpo di un uomo di forse quarant’anni, alto circa un metro e ottanta, robusto.
Aveva la testa grande, sulla mascella imponente cresceva appena un filo di barba ispida. Il cranio era rasato, nell’orecchio sinistro c’era ancora il residuo rappreso di un rivolo di sangue.
– Contenta tu. Aiutami a sistemare le candele.
Uno dopo l’altro, disposero quattro lumini vicino alle gambe e alle braccia.
– E questo cos’è – ridacchiò Cristina, estraendo dalla borsa l’ultima candela, simile al busto di Elvis.
– A casa avevo solo quelle – sbuffò Maria, senza alzare gli occhi dal foglio su cui aveva stampato il rituale – cominciamo.
Poi prese a recitare una cantilena in latino, stonata e stridente, durante la quale unse le tempie della salma con la crema e ne cosparse il capo con quello che Cristina ritenne essere origano.
Il ritmo della litania era diventato incalzante, le parole si mescolavano e perdevano il loro significato.
Continuando a cantare, Maria infilò una cannuccia da cocktail nella narice sinistra dell’uomo, tappando la destra con la mano libera, e fece cenno a Cristina di versarvi dentro il sangue di pollo.
Quello vi scivolò dentro gorgogliando, sotto gli occhi inquieti di Cristina e quelli invasati di Maria, che presa dal suo stesso canto faceva ora vorticare la testa e i lunghi capelli, sempre più velocemente.
– Fermati, basta, non succede nulla.
Maria sembrava non sentirla, rideva, cantava e ruotava il capo.
– Basta, basta smettila! Maria! – gridò.
Nella Sala Vecchia tornò il silenzio.
– Scusa Cricrì, non so cosa mi è preso – disse, mentre una goccia di sudore le colava dalla fronte fino alla punta del naso.
Si guardarono per un lungo istante, finché la tensione accumulata non si dissolse nel fragore delle loro risate.
Ridevano ancora, quando le palpebre dell’uomo si sollevarono di scatto, scoprendo gli occhi lattiginosi.
Sotto lo sguardo atterrito delle ragazze, inarcò la schiena gonfiando il torace, la bocca spalancata in cerca di aria. I polmoni si riempirono con un rantolo, violenti spasmi scossero le membra ancora irrigidite, poi tutto tornò alla quiete.
Cristina, che si era coperta gli occhi con le mani, trovò la forza di guardare attraverso le dita sottili: a testimonianza di quello che era successo restavano solo il ritmico movimento del petto e quel gorgoglio sinistro.
Maria invece lo osservava rapita, gli occhi verdi sbarrati e le labbra increspate in una specie di sorriso.
– Ce l’abbiamo fatta – sussurrò incredula e poi, a voce alta – ce l’abbiamo fatta!
– Cosa facciamo ora?
La voce di Cristina sembrò richiamarla dalla sua contemplazione.
– Abbiamo tre domande – rispose. Negli occhi aveva un bagliore inquietante.
Sapeva già cosa avrebbe chiesto Maria.
– Anima – disse, con tono autoritario – rispondi, se sei capace: in che giorno passerò da questo mondo all’altro?
Con un suono orrendo, la salma prese fiato ancora una volta e poi, con una voce che ricordava il frusciare delle foglie secche, proferì il suo verdetto.
– Il secondo giorno del terzo mese dell’anno presente.
Le due si scambiarono un’occhiata perplessa.
– Ripeti – ordinò Maria.
– Il secondo giorno del terzo mese dell’anno presente.
Maria sembrò delusa.
– Non può essere – disse a Cristina – è oggi.
– Forse il rito ha funzionato male, magari si sbaglia. Prova ancora.
La giovane serrò i pugni, raddrizzò le spalle e si preparò a formulare la seconda domanda.
– Anima, rispondi. Quando morirà Cristina?
Cristina si portò una mano alla bocca, per sopprimere un grido, tendendo l’altra per cercare di fermare l’amica. Ma il morto aveva già ripreso a parlare.
– Il terzo giorno del terzo mese dell’anno presente.
Maria dovette sforzarsi per reprimere una risata.
– Questo conferma la mia ipotesi, è una fregatura – sbottò – dovrei morire io oggi e tu domani?
– Abbiamo ancora una domanda – ridacchiò Cristina, sollevata – tanto vale provare.
Maria sorrise con complicità, poi assunse un’aria ridicola, da grande sacerdotessa di un film horror anni settanta.
– Anima – ordinò, ostentando falsa solennità – rispondi: quando avverrà il giorno del Giudizio?
La salma non rispose, ma continuò a incarnare quella sua pallida imitazione di esistenza.
– Rispondi, ho detto!
Altri quattro gorgoglii, quattro rantoli strazianti, si unirono al primo. Cinque cadaveri, con una voce sola, presero a intonare una macabra litania.
– Il terzo giorno del terzo mese dell’anno presente, all’ora nona, si farà buio su tutta la terra. Il cielo si squarcerà, le tombe si scoperchieranno col rumore del tuono. La bocca dell’inferno si spalancherà sul mondo, all’ombra dei tre soli camminerà il popolo dei più. Tremerà Gerusalemme, Roma cadrà sotto passi implacabili, giacerà nella polvere Costantinopoli.
Poco a poco il tono del loro lamento s’alzava, ripetendo l’oracolo, finché non arrivarono a gridare.
Cristina si gettò a terra, terrorizzata, Maria fuggì perdendo una scarpa.
– Che diavolo sta succedendo qui?
Il custode si affacciò nella sala, dove una studentessa giaceva a terra terrorizzata.
Sui tavoli, i cadaveri di cinque uomini per la prossima lezione.