Barbablù

Un altro piccolo esercizio, mentre affronto cose più impegnative: la riscrittura di un classico della fiaba.

«Non aprire quella porta» le aveva detto il suo sposo in procinto di assentarsi per un viaggio, dopo appena due giorni dalle nozze. «Il mio castello ha cento stanze, puoi visitarle tutte una per una – tutte, tranne quella: in quella non ci devi mai andare.» Le aveva rivolto un’occhiata arcigna, mentre col dito teso indicava una porta insignificante, affacciata su un corridoio come ce n’erano tanti. Poi era partito.
Rimasta sola, in principio, ella aveva fatto quanto le era stato detto: si era dedicata alle sue incombenze, che erano numerose e la tenevano impegnata dall’alba al tramonto, senza mai lasciarsi distrarre.
Tuttavia, ogni volta che passava davanti a quella porta, persa in mezzo ad altre cento, identiche in tutto fuorché per il fatto che non le erano state interdette, provava come un brivido d’eccitazione.
Dapprima lo aveva ignorato. Col passare dei giorni però quel brivido si era fatto più intenso e i suoi occhi di giovane sposa, come attratti da una forza irresistibile, sembravano cadere sempre sullo stesso punto.
Finché una sera, quando la servitù era già stata congedata ed ella era rimasta sola nel palazzo, si ritrovò – senza sapere bene come – proprio davanti a quell’uscio.
La chiave girò nella toppa tre volte, con un clangore che nel silenzio notturno del castello le parve intollerabile, e la porta girò sui cardini, lasciando che la luce della luna si posasse sul segreto del suo sposo.

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