Sigarette (il Golfo di Napoli)

A mio padre.

Camminavo sul lungomare di Napoli, era un’alba d’autunno.
La costa s’apriva ad accogliere il mare in quell’abbraccio scoglioso che chiamano Golfo, mentre Re Vesuvio con la sua corona stava seduto a sinistra, aspettando che il sole venisse a scaldarlo.
M’affacciai allora a guardare le onde e, tra la sabbia e i sassi, m’accorsi di non essere solo: la statua d’un santo frate, la chierica lucida strofinata dal vento, guardava pure quella il mare con le mani giunte in una posa di quiete. La fede dei credenti gli aveva messo addosso tutto un fardello di rosari e croci e foto di bambini e preghiere segrete sussurrate in dialetto. M’accesi una sigaretta, inspirai a fondo godendomi il panorama.
– Statt’accuort, che o’ Golfo e’ Napule è nu mariuncièll.
La voce mi colse di sorpresa, mi volsi di scatto a cercare chi avesse parlato.
– Nun te fa abbabbià, perché o’ Golfo t’incanta, t’appiccia o’ core e a sigaretta mmèce s’a fuma o’ viènt.
Sorridendo, il frate mi prese la cicca dalla bocca spalancata per lo stupore e, sbuffando benedizioni, s’allontanò lasciandomi solo
e senza tabacco.

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