Karate Kid

I bulli lo avevano conciato per le feste. Gli occhiali erano rotti nel mezzo, un occhio non si apriva più e lividi grossi come cocomeri sarebbero spuntati il giorno dopo sul suo corpicino fragile.
Il vecchio cinese lo trovò in quello stato nel vicolo, lo aiutò ad alzarsi e lo portò in casa sua senza dire una parola. Lo fece accomodare in un piccolo salotto tutto tappeti e cuscini e gli portò del ghiaccio.
Teo ringraziò con uno sguardo dell’occhio ancora buono.
Nuovamente l’anziano cinese scomparve, stavolta per alcuni minuti.
Al ritorno reggeva un piatto di ceramica: dentro di esso un paio di bacchette e un involtino primavera con sopra una mosca. Era proprio una mosca, una mosca bella grossa, di quelle che frequentano le stalle e i bagni degli autogrill, verde, luccicante e pelosa. Teo scrutò il volto impassibile del vecchio, i baffi di seta bianca che cadevano immobili come drappi, senza cogliere in esso alcun segnale.
Poi, folgorato, capì.
Afferrò le bacchette e con esse cominciò a tentare di acchiappare la mosca, che s’era intanto alzata in un volo grezzo e rumoroso. Infinite volte i bastoncini scattarono a vuoto sotto gli occhi a mandorla dell’anziano fino a che, al sorgere del sole, con un ultimo guizzo si serrarono intorno alla preda.
Teo allora si alzò, raggiante, posò le bacchette sul tavolo e si inchinò, poi corse via.

Li trovò nella piazzetta del paese alla solita ora. Si piazzò a gambe larghe davanti a loro, li schernì apertamente e fece apprezzamenti sulle loro madri, lasciando poi che lo accerchiassero. Stavolta quei quattro teppisti avrebbero avuto pane per i loro denti.
Un destro al viso, un calcio rotante allo sterno, una presa con torsione del polso, una ginocchiata nei coglioni: Teo incassò tutto senza quasi rendersene conto.
Quando uscì dal pronto soccorso, due settimane più tardi, tornò dal suo maestro. La porta era aperta, lui sedeva composto al tavolo.
“Sei solo un impostore” gridò facendolo sobbalzare “il tuo allenamento zen non è servito a niente!”
Il vecchio, con un raviolo al vapore ancora a metà del viaggio tra il piatto e la bocca, lo guardò e disse:
“Quale cazzo di allenamento?”

La morale è che non tutti i nonnini cinesi dall’aria zen sono maestri di arti marziali.
Alcuni sono solo pensionati di poche parole.

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