Insonnia di una notte di mezz’ estate.

Buona lettura,
F.

Il sonno mi scivola tra le dita come acqua.
Lo guardo impotente filtrare attraverso spiragli invisibili, senza poter estinguere la mia sete di riposo.
Ne sento il bisogno nel dondolio della testa, nello scricchiolare delle ossa, nel battito lento del cuore: le palpebre pesanti si chiudono come un sipario sul mio giorno, ma il sonno continua a voltarmi le spalle.
Quindi esco.
Tra gli ulivi, grilli dopati cantano come motoseghe e in basso, senza che io riesca a vederlo, il mare seduce la spiaggia al chiaro di una luna gigante.
I miei passi hanno il suono di colpi di tosse in biblioteca, ma nessuno qui si alza per chiedermi di fare silenzio. Vicino a un lampione un cane nero enorme, con occhi gialli brillanti, si gratta goduto un orecchio e mi fissa.
– Non dormi? – chiede.
– No. Ma tu non dovresti dire qualcosa tipo “bau”?
Scopre le zanne, drizza il pelo sul dorso.
– Amico, sono le tre di notte. Dico quel cazzo che mi pare.
– Scusa, non ti arrabbiare. È che non avevo mai visto un cane parlare.
– Questo perché la maggior parte delle volte non lo facciamo. Siamo tipi essenziali, noi cani, diciamo solo lo stretto necessario.
Si stiracchia allungando prima le zampe davanti e poi quelle dietro, si scrolla.
– E allora perché mi hai chiesto perché non dormivo?
Quello fa spallucce, ammesso che un cane sia in grado di farlo.
– Hai mica visto il sonno? – domando.
Lui ci pensa un po’ su. Drizza le orecchie, alza il testone da lupo per fiutare il vento fresco.
– Di là – col muso indica una viuzza tra due case vecchie, due mucchi di pietra assediati dal muschio.
Ringrazio e proseguo.
La via, lastricata di porfido, odora di antico. Su di essa si affacciano porte di legno senza più vernice, con le serrature massicce violentate dalla ruggine.
Ho la certezza assoluta, adesso, di essere inciampato fuori dalla linea del tempo.
Un rumore di ruote mi fa voltare, rimbomba sui muri e fracassa il silenzio.
Un carretto carico di cianfrusaglie avanza lentamente, trainato da un uomo abbronzato.
– Donne, è arrivato l’arrotino! L’arrotino e l’ombrellaio, donne!
Urla, ed io mi aspetto che qualcuno spalanchi una finestra da un momento all’altro per sparargli con uno schioppo caricato a bestemmie.
Si ferma a un metro da me, adagia il carretto.
– Donne, è arrivato l’arrotino! L’arrotino e l’ombrellaio, donne!
Poi si accorge della mia presenza, sorride. Sulla pelle bruna i denti luccicano come conchiglie, mentre tira una cordicella e il carretto diventa un chioschetto, con tanto di insegna luminosa.
Sul legno adornato di lampadine, a lettere dorate su sfondo verde, spiccano le parole  “Le piccole meraviglie di Walter”.
– Vuoi comprare – mi domanda, mettendo una cassetta in un mangianastri polveroso.
– Non saprei. Hai del sonno?
Una musica allegra, da fiera, accompagna adesso la nostra conversazione notturna.
Lui fa una specie di smorfia con la bocca, tentenna la testa pensandoci su. Poi si tuffa tra le cianfrusaglie del carretto, tirando fuori alcuni barattoli.
– No, sonno no, niente sonno. Ma ho del torpore e della ridarella, se vuoi.
La ridarella mi tenta.
– No grazie.
– Come vuoi.
– Sai dove posso trovarlo?
Scuote la testa, tira la cordicella, il chiosco torna carretto, la musica cessa.
Mi supera, riprendendo a gridare, sparisce dietro l’angolo di una casa.
Cammino da un po’, la luna è sempre allo stesso punto del cielo e le stelle danzano sull’orizzonte, che si rivela dopo una curva quando il paese cessa bruscamente.
Scendo fino alla spiaggia, i granelli minuscoli luccicano come polvere di vetro, ma non sono altrettanto taglienti. Supero le file di barche in secca, le reti molli e ingarbugliate peggio del destino, scorgo una capannina con davanti un falò. Il mare in quel punto sembra pulsare di una luce che gli appartiene, che proviene dal suo cuore profondo, azzurra e verde e argento.
Col culo per terra, a gambe divaricate, un vecchio tesse una rete.
È un bell’anziano, dalla pelle scura, col volto cesellato di rughe: una per ogni vittoria nella battaglia contro il tempo.
Da sotto il cappello macchiato di salsedine, spuntano due favoriti vaporosi e bianchi.
Lavora ad occhi chiusi, le mani vanno a memoria seguendo la trama, nodo dopo nodo.
– Buonasera – saluta, sentendo i miei passi sulla sabbia.
– A lei. Bella nottata eh?
Il vecchio spalanca gli occhi a guardare: dentro c’è il mare, il cielo, la luna, gli ulivi, i compleanni del mondo, la mia casa, lo spazio e pure io.
Annuisce, soddisfatto di ciò che ha visto.
– Sei Dio – dico, se è una domanda decidetelo voi.
Sorride, senza smettere di lavorare.
– Ho un problema, Dio. Non riesco a dormire da tanto, troppo. Morirò?
Annuisce ancora.
– Tutti muoiono.
Carezza con la mano nodosa la sabbia vicino a lui, dove vuole che mi sieda.
Poi mi porge la rete e l’uncino.
– Fai così, un nodo alla volta, senza fretta. Ci vuole pazienza, come per tutte le cose, anche per riposare.
Un nodo alla volta, un centimetro alla volta,
le palpebre si chiudono.

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