Il vecchio nel melo

Ilustrazione di Federica Turco per Il Drago di Carta – all rights reserved.
L’inverno cercò l’anima tra le ossa del vecchio.
Trovata che l’ebbe, la condusse libera fuori dalla casetta, in mezzo ai fiocchi di neve e al fumo dei camini.
L’anima però si voltò. Attraverso i vetri opachi scorse il profilo della vedova, che mesta vegliava la salma al lume di una candela di sego, e ne ebbe compassione.
Un melo spoglio cresceva nel fazzoletto di terra davanti alla casa. Non vedendo nient’altro, l’anima del vecchio entrò nel melo.
Vennero degli uomini col pastrano nero, sbattendo la neve degli stivali sull’uscio, e portarono via la salma.
Passavano i giorni, la vedova piangeva, il paese s’andava addobbando di luci e festoni: giungeva Natale.
Gli uomini rincasavano con piccoli abeti sotto il braccio, i bambini scodinzolavano loro intorno. Ma la vedova non aveva figli, e la casa rimaneva spoglia. Così l’anima del vecchio, nel tronco del melo, prese a spingere verso l’esterno. Tutta la notte fremette il melo, e la mattina dopo piccole gemme verdi facevano capolino nel bianco. All’ora di pranzo, foglie traboccanti di primavera sventagliavano nell’aria come bandiere, e la gente in paese s’andava radunando davanti alla casetta, per vedere il prodigio del melo matto.
Nel pomeriggio, il vecchio spinse fuori dal melo anche i fiori e, alla sera, l’alberello splendeva di smeraldo e di porpora: mele tonde e lucide come palle di natale riflettevano la luce delle candele che a decine s’erano radunate intorno al melo.
La gente del paese vi cantava all’intorno, la vedova sorrideva.