Le ragioni dell’Orco

Sulle montagne fuori dal vecchio villaggio, in una gola tetra e profonda, viveva un Orco spaventoso.
Si diceva fosse alto come due uomini uno sull’altro, forte come una pariglia di cavalli da giostra e spietato come una carestia improvvisa. Adorava la carne, che consumava cruda, poiché troppo selvaggio per apprezzare il fuoco: se spariva una capra, una mucca, un bambino, si poteva star certi che era opera sua.
Così tutti nei dintorni vivevano all’ombra della sua ferocia.
Un giorno però arrivò al villaggio un Cavaliere Coraggioso, che radunò gli abitanti nella piazza principale e promise loro di portargli la testa dell’orco. In cambio avrebbe accettato eterna gratitudine e un gruzzolo d’oro. Gli abitanti, i cui corpi stremati accusavano una vita dedicata agli stenti, accettarono di buon grado con un timido applauso e qualche colpo di tosse.
Così il Cavaliere Coraggioso, splendente nella sua armatura, partì al galoppo in direzione delle montagne.
Queste ultime erano impervie e taglienti, disseminate di massi dalle forme disarmoniose, e il cammino era difficile al punto che ben presto dovette lasciare il cavallo e proseguire a piedi.
Scovare la dimora dell’Orco non fu un’impresa ardua: al Cavaliere Coraggioso bastò seguire la scia di sangue e resti non solo animali lasciata dal mostro al suo passaggio.
Un uomo qualsiasi, all’ingresso della gola avrebbe certamente desistito dai suoi propositi, poiché era buia come l’interno di un sacco e odorava come se nel sacco in questione fossero ammassate le carcasse di cinque diverse specie animali.
Ma il Cavaliere era Coraggioso e dunque si spinse fino in fondo.
Trovato l’Orco rimase deluso, perché non era affatto grosso come gli avevano detto: lo era molto, molto di più.
Ma la fortuna sembrava arridergli perché, dopo quello che doveva essere stato un pasto abbondante, il mostro era caduto in un sonno profondo.
Così s’avvicinò in silenzio e, estratta la spada, ne appoggiò la lama sulla gola dell’Orco, che si svegliò all’ istante.
L’Orco, che era una bestia ignorante ma nient’affatto stupida, intese la situazione e non fece movimenti bruschi. Piuttosto, con una voce che sembrava quasi umana, fissando gli occhi neri come pozzi in quelli azzurri del suo boia, gli disse:

Ahi, Cavaliere Coraggioso, sapevo che saresti venuto: stavo infatti sognando il tuo arrivo, perché il Destino si fa beffa di tutti. Lungi da me il tentare di dissuaderti dal compiere la cosa giusta, ma rifletti, davvero credi sia opportuno uccidermi, togliermi di mezzo? Cosa faranno al villaggio, quando non ci sarò più? A chi daranno la colpa di ogni male, quando la mia fame sarà spenta per sempre? Contro chi punteranno il dito, quando perderanno l’intero raccolto, contro chi imprecheranno quando spariranno i bambini dai loro letti? Quando la malattia ucciderà le loro vacche una per una, di chi bestemmieranno il nome? Credi che saranno davvero così onesti da cercare il colpevole tra la loro stessa gente? No.
Hanno bisogno di me, dell’Orco, perché guardando quanto sono malvagio io sarà più lieve il peso delle loro mancanze.
E tu, Cavaliere Coraggioso, cosa farai quando sarò scomparso, riporrai forse la spada e lo scudo per raccogliere la zappa? Cosa renderà sfavillanti i paladini, quando non ci sarà più oscurità a farli risplendere? Prendi, taglia una delle mie orecchie e torna al villaggio, così potrai avere il tuo oro. Io sparirò per un poco, e quando tornerò, vedrai saranno tutti sollevati.

Colto alla sprovvista dall’umanità del mostro e dall’intelligenza del ragionamento, il cavaliere sembrò davvero rifletterci su: aggrottò la fronte e allentò la presa sull’elsa.
L’orco a quel punto l’afferrò e gli svitò il cranio.

Chi ha orecchie per intendere, intenda.

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